People Oliver Marlow

Oliver
Marlow

StudioTilt - Codesign

Oliver Marlow è direttore creativo di StudioTilt, a Londra. Esperto nelle relazioni tra spazio, collaborazione, creatività e modelli di business, Oliver è designer, artigiano, accademico e facilitatore. Lavora su tutti i livelli del processo progettuale e creativo. Come responsabile del design di The Hub (oggi Impact Hub), ha collaborato alla co-progettazione di decine di nuovi Hubs e spazi di lavoro altamente flessibili in tutto il mondo. E’ il responsabile di una metodologia di co-progettazione unica, che aiuta a trasformare gli spazi in un’esperienza, una comunità e un’identità. Oliver è fondatore della Social Workplace Conference, co-fondatore del Forest Café a Edinburgo, e ha collaborato, tra gli altri, con il Young Vic theatre, The Battersea Arts Centre, Aldeburgh Music, Southbank Centre, Edinburgh International Film Festival e il Non-Pro t Incubator (NPI) a Shanghai, il primo centro per l’innovazione sociale in Cina.

Mi piace progettare verso qualcosa, aiutare a risolvere un problema, generare miglioramento, creare impatto. Non sono il tipo di designer che si siede e sogna - in astratto - ad occhi aperti di oggetti o spazi, ho bisogno di stare con le persone e sentire le loro storie.

— Oliver Marlow
L'intervista

Una chiacchierata con Oliver Marlow

Cosa significa essere designer e allo stesso tempo facilitatore?
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Le vedo come la stessa cosa. Essere un facilitatore significa ascoltare e capire le persone, i loro bisogni e i loro desideri. La stessa cosa vale per l’attività dello human centred designer. Mi piace progettare verso qualcosa, aiutare a risolvere un problema, generare miglioramento, creare impatto. Non sono il tipo di designer che si siede e sogna - in astratto - ad occhi aperti di oggetti o spazi, ho bisogno di stare con le persone e sentire le loro storie.

Considerando la tua esperienza professionale, in che senso il codesign può ispirare spazi, azioni e modi di vivere sostenibili?
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Per molto tempo gli approcci e i ruoli progettuali sono stati separati l'uno dall'altro: per esempio qualcuno si occupava del progetto di un edificio, e qualun’altro di come l’edificio doveva essere utilizzato e di quale impatto lo spazio doveva creare. Viviamo in un'epoca di grande complessità e ora capiamo che tutto è interconnesso, non da ultimo attraverso le persone stesse. La pervasività della tecnologia ha accelerato questo processo (chi avrebbe mai pensato di ascoltare musica o di guardare una mappa sul proprio telefono cellulare?), oggi convergenza e ibridizzazione sono aspetti essenziali per risolvere qualsiasi cosa. Indipendentemente dal briefing. Detto questo, abbiamo bisogno di pensare in modo sistematico e di porre le persone al centro di qualsiasi soluzione. Affinchè questo funzioni, abbiamo bisogno di lavorare in modo inclusivo e di essere disposti ad essere messi alla prova da intuizioni e input altrui. Questo è il motivo per cui il codesign è così efficace. E' collaborativo e focalizzato sulle soluzioni; inoltre come metodologia si adatta a qualsiasi tipo di brief. Spazi adatti allo scopo, che possono essere resilienti e aperti. Azioni che nascono dalla comprensione di come creare un impatto sugli altri e, in generale, dallo sviluppo di una visione sistemica di noi stessi nel mondo.

Ci racconti qual’è il tuo progetto preferito (non necessariamente fatto da o con StudioTilt) che meglio rappresenta l’importanza di coinvolgere gli utilizzatori finali nel processo di progettazione dello spazio dove questi lavoreranno o vivranno?
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Mi piace molto il crescente movimento legato al co-living per le persone anziane in tutto il mondo. Non è un'idea nuova (coinvolgere gli utenti nel processo di progettazione non è certo un'idea particolarmente originale), i progetti fanno quello che fa il grande design: le sfide sono molteplici (qui è la solitudine, l'aumento dei costi abitativi, alternative inadeguate per esempio) e il design fornisce una soluzione che è positiva per tutti.



© Fuorisalone.it — Riproduzione riservata. — Pubblicato il 20 marzo 2019